La rivincita di Katie/Carrie

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“La tua ragazza è adorabile, Hubble” – Carri e Mr. Big

Ieri sera mi sono imbattuta per caso in “Sex and the city – Il film”.
Anzi non è andata proprio così. Il mio ragazzo si è per caso imbattuto in “Sex and the city – Il film” mentre io ero in bagno e l’ha volutamente omesso, sbrigandosi a cambiare canale prima che me ne accorgessi.

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Spos(t)arsi

Ci sono parole, termini, frasi che nell’arco di una vita possono assumere per noi significati e suscitare in noi emozioni e sensazioni diverse.

Alla soglia (anzi proprio proprio entrando visto che settimana prossima è il mio compleanno) dei 33 anni ce n’è una che in modo particolare mi fa sobbalzare dalla sedia: SPOSARSI.
Non si sa per quale assurda ragione ma alcune parole quando siamo piccoli le sentiamo spesso e ci sembrano innocue e naturali, ad un certo punto della nostra vita quasi musica per le nostre orecchie, tanto che quando le udiamo i nostri lobi e i nostri padiglioni auricolari si ringarzulliscono e si vestono a festa anche loro.
Poi ad un certo punto, il buio. Sposa che? Spo- sar-si. Oh my God! La tua compagna del liceo si sposa, tua cugina minore si sposa, la figlia sfigata di un’amica di tua madre idem, e tu che ti credevi fighetta e ambitissima stai lì a fissare lo schermo del tuo pc dove scorre a lato un banner che pubblicizza la nuova collezione di abiti da sposa di Jenny Packam. E questo può avere un solo significato: che almeno una  volta nell’arco degli ultimi 10-15 giorni tu di tua spontanea volontà un’occhiata gliel’hai data. Il perché non lo sai neanche tu ma una recondita e sommessa voglia di ricongiungere quella parola al tuo vocabolario usuale in fondo in fondo c’è.
E vai un po’ a ricacciare fuori la storia delle impostazioni culturali, dell’educazione, quelli legati alla religione.
Tu quella parola l’hai snobbata per anni, ma vuoi tua nonna che ti chiede di farlo presto così che lei, che non ti vede in bianco dalla Prima Comunione, possa commuoversi sull’altare prima che sia troppo tardi, vuoi quella tua lontana parente che non ti vede da anni e ti dice “ma come sei cresciuta…quanti anni hai?” e quando tu rispondi sorniona “32” (pensando che in realtà che venga carpito come un 16) ti guarda e non favella, sta parolina magica ti ronza nelle orecchio peggio della zanzara che alle 3 di notte.
Nel frattempo torni a casa da tua madre  e quella partecipazione della già citata cugina minore è lì sul mobile del salotto in bella vista, manifesto della tua noncuranza al tempo che passa e alla tua sfacciata presunzione di potertene fregare.  {Ma come non ti ricordi di quando tua cugina ora ad un passo dall’altare, imparava a parlare e tu facevi già le piroette sui pattini a 4 ruote? o quando tu andavi all’università e lei non aveva ancora neanche le chiavi per rincasare quando voleva? }

E allora dici vabbè me ne vado  e smetto di fissare le inziali intrecciate con un filo d’argento sulla busta della partecipazione di tua cugina e tu ti intrecci si, ma col traffico della metropoli. Lì mentre con una mano nella borsa e una sul volante cerchi di sbrigliare il tuo auricolare intrecciato a sua volta pure attorno alla tua catenina con l’inziale (la TUA, da sola), squilla il telefono. E’ il responsabile della tua società che ti convoca per un colloquio in sede. Sembra urgente. Corri come una pazza da un capo all’altro della città mentre intorno a te ci saranno centinaia di donzelle della tua età in trepidazione perché di qui a qualche giorno vanno a SPOSARSI, che corrono come te da un capo all’altro della città per definire trucco e parrucco, ritirare l’abito, fare la manicure.
Il tuo trucco e parrucco consiste invece in un po di lip gloss rosato e una scrollata a testa in giù ai capelli sotto l’ufficio del capo. Sali facendo finta di non essere trafelata e ti accolgono in una stanza simile a quella degli interrogatori della squadra mobile. E lì’ di fronte ad un pc e a qualche documento che porta il tuo nome ti propongono di cambiare. Ti propongono qualcosa che porta nel nome la parola indeterminato.
Insomma ti propongono di SPOSARE l’azienda. Finalmente qualcuno ti ha chiesto di sposarlo, è giunto il momento fatidico anche per te, e pur immaginandotelo diverso magari un po’ più romantico, accetti quasi incredula.

Poi esci un po’ scossa ti guardi allo specchio dell’ascensore e la tua gioia iniziale si trasforma in un “Oddio, e adesso che faccio? Questi mica mi vorranno intrappolare così? Io non mi sono fatta intrappolare mai, anzi si dal tacco nel sampietrino l’altra sera a Trastevere, e questi mi fanno sposare l’azienda a tempo indeterminato?! Ma se neanche la luce pulsata che faccio alla gambe riesco a definirla epilazione permanente?”.
Così entri in macchina e nel lungo tragitto che ti separa da casa e pensi che forse è arrivato il momento di non trovare più scuse per scappare, che poi tanto se scappi dalle cose, corri sempre il rischio che il tacco ti si ficchi nel sampietrino. Che poi spesso neanche si ha il coraggio di scappare, il più delle volte ci si sposta, giusto un po’ più in là per non farsi prendere.

Gelosia retroattiva

Premetto che l’espressione “gelosia retroattiva” non è stata coniata da me. E lo dico non tanto per lavarmene le mani e tenermi fuori da questo inspiegabile fenomeno, quanto a dimostrazione del fatto che non sono la sola a soffrirne. A coniare l’espressione è stata una mia cara amica che durante un’immancabile conversazione giornaliera su WhatsApp si chiedeva e mi chiedeva il perché in ogni relazione più seria che le si presentava dovesse essere turbata da fantasmi del passato.

Parliamoci chiaro, non c’è donna, di qualsiasi estrazione, età, livello culturale che non sia corrosa dalla curiosità e al tempo stesso infastidita ai limiti del corrosivo, dalla figura della ex.
Non importa a quanto tempo prima risalga la relazione con il proprio attuale “lui”, se l’ex in questione è stata l’ultima prima di noi a sedersi sulla sua macchina, a trascorrere con lui le vacanze estive con relative foto sulla spiaggia, a festeggiare Capodanni, compleanni, Pasque, pasquette e feste varie, ad uscire con i suoi amici: ecco lei è il nemico da sconfiggere.
E così ci chiediamo se nel giorno del suo compleanno lui le fa ancora gli auguri quando magari siamo le prime noi a farli all’ex di una vita con cui non abbiamo litigato ma con cui ci siamo semplicemente lasciate. Forse ci converrebbe prima analizzare il termine “lasciarsi”.
Sul dizionario della Treccani alla voce del verbo lasciare si trova scritto: “Smettere di tenere, o di stringere, di reggere, di premere”.
E’ proprio tutto racchiuso qui quel che accade quando si decide di lasciare qualcuno o qualcuno decide di lasciare noi. Si smette di tenersi e di stringersi, sia nel senso pratico che nel senso più astratto del termine. Se lo stesso verbo si applica ad un oggetto diventa tutto più chiaro, perché quando si smette di tenere un oggetto in mano questo cade per terra e va per la sua strada, non importa come, se inizia a rotolare, se si rompe o se semplicemente rimane fermo lì. O magari vola via come un palloncino. Io sempre mi chiedo che fine faccia, ma poi appena scompare dalla mia vista non ci penso più.
Proprio come le persone che dopo aver smesso di reggere o di esser retti da qualcuno, di stringere o di esser stretti, attuano reazioni e comportamenti differenti. C’è chi rotola, chi si rompe e chi rimane fermo lì. Mentre l’altro va, prende la sua strada o magari anche lui rotola, si rompe o rimane fermo. Ma sempre su un’altra strada.
E capita che su quella strada incontri qualcun altro e quel qualcun altro siamo noi e si inizia a rotolare insieme e forse anche a stringersi prima e a reggersi poi. Si viene scelti e non perché migliori ma semplicemente diversi da qualcosa che prima si è lasciato andare.
Dovremmo imparare a capirlo questo concetto apparentemente semplice quando in preda a raptus di gelosia retroattiva vorremmo distruggere tutto ciò che ricorda anche solo lontanamente l’ex. Comprese quelle foto sulla spiaggia o un regalo di compleanno.
D’altronde, parliamoci chiaro, chi lo vorrebbe in età adulta, un compagno che non sia mai stato in grado di tenere, stringere, reggere qualcun altro oltre a se? Io onestamente no.