Cicala e formica

La storia della cicala e della formica è una di quelle favole che ci raccontano da bambini per insegnarci una morale, per farci capire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Non come Cenerentola o la Bella Addormentata che alla fine incontrano il principe solo grazie al loro bel faccino. No, la cicala e la formica è una fiaba pratica, reale e realista, che arriva al sodo, il cui “Hai cantato? Adesso balla!” ce lo portiamo dietro come insegnamento di rettitudine dalla culla in poi, e ci torna in mente tutte le volte in cui la punta della penna tocca quello scontrino della carta di credito apparentemente così innocuo che il 15 del mese successivo ci farà penare, oppure quando ci ingozziamo con la voracità di un Crocuta crocuta convincendoci che se “del doman non v’è certezza” , noi almeno la certezza della pane con la Nutella la vogliamo, e chissenefrega  se poi saremo lì a frignare quando il pantalone che funge per noi da prova del nove  faticherà a chiudersi.

In quest’ottica io sono proprio il prototipo di cicala, anche se negli ultimi 2 anni, non a caso i 2 anni che mi hanno strappato all’età della fanciullezza consegnandomi senza pietà al decennio degli enta, sono diventata una brava formichina. E invece di stare a lamentarmi dopo essermi rimpinzata di uova di Pasqua, poggio si la penna su uno scontrino che su cui poi piangerò il mese successivo, ma per una buona causa: l’iscrizione in palestra. E così ieri, scarpette ai piedi, ero pronta per iniziare la terza stagione consecutiva di Zumba.
Vado sempre un po’ sospettosa, soprattutto in una nuova palestra, mi pare sempre di andare ad esplorare un territorio impervio. Poi mi metto lì, impenetrabile, scruto l’ambiente cercando di studiare i fenotipi.
Si perché ci sono delle tipologie di personaggi che, palestra che vai, trovi sempre: c’è la boss, quella che frequenta dall’inizio delle stagione o addirittura da quella prima, che saluta a gran voce l’istruttrice e spadroneggia come se fosse nel salotto di casa propria; poi c’è la stilosa, quella con l’outfit griffato e alla moda, che ti guarda con compassione perché tu al suo cospetto sei vestita come se dovessi accingerti a sfaccendare in casa; infine c’è la fanatica che si imbuca alla prima lezione disponibile e fa pure un po’ la sostenuta quando scopre di essere finita  in un gruppo di sgallettate, capaci di solo di sculettare e che non sanno neanche cosa significhi la vera fatica.
E poi ce lei, l’istruttrice, quella che nell’immaginario di ogni cadetta del fitness deve essere perfetta, almeno nel fisico: ecco la mia nuova insegnante di Zumba ha due cosce polpose come il coscio di pollo che avrei voluto azzannare una volta tornata a casa, e ciò non è propriamente la perfezione cui ambire, il modello cui ispirarsi, soprattutto nelle giornate in cui noi comuni mortali saremmo tentate di fare le cicale anziché le formiche, senza voglia né di cantare né tantomeno di ballare.

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